sabato 4 agosto 2018

Il Tempo di San Giorgio Morgeto


Era un giorno di fine settembre a San Giorgio Morgeto, l’afa del mese di agosto aveva lasciato spazio ad un vento fresco, che incanalandosi tra i vicoli portava con se l’odore del mare che si estendeva davanti ad i miei occhi.

Lo sguardo abbracciava i paesi della piana che da quassù, erano delle piccole interruzioni della grande macchia mediterranea che li avvolgeva.

Osservavo con immenso amore il paesaggio calabro, cosi vario e suggestivo, cosi pittoresco ed unico.

Alle mie spalle l’Appennino che divideva in due la Calabria, una linea perpendicolare alla costa, che separava in modo netto lo Ionio dal Tirreno, i due mari che bagnavano oltre settecento chilometri di costa di una regione prevalentemente montuosa.

Me ne stavo appoggiato ad una parete del castello che era in parte diroccato, mi ero arrampicato fin quassù dopo aver percorso i tanti vicoli del piccolo centro della Piana, edificato da Morgete, figliuolo di Italo.

Avevo passato il pomeriggio tra le strade del borgo, perdendomi tra i vicoli stretti che spesso erano caratterizzati da gradini che collegavano terrazze panoramiche, chiese, laboratori artigianali ed edifici storici.

Ero arrivato verso le quattro del pomeriggio, iniziando il mio percorso dalla Piazza dei Morgeti, al centro della quale vi era una grande fontana monumentale, a testimonianza delle tante sorgenti che nascevano all’interno del comune.

Un gruppo di anziani se ne stava seduto ai bordi della fontana, facendo scivolare cosi quel pomeriggio di fine estate.


Discutevano animatamente, gettando ogni tanto un’occhiata verso di me, turista in ritardo dentro al borgo che si lasciava alle spalle la stagione estiva.

Già all’arrivo avevo percepito un’aria diversa, come se il tempo avesse scelto di rallentare, regalandomi un’atmosfera passata, quella degli anni ottanta, della mia infanzia in Calabria.

Non circolavano tante macchine, la particolare conformazione del paese, rendeva la maggior parte delle stradine pedonali, lasciando le strade e le piazze alla gente, vera protagonista del luogo.

Mi inoltravo tra i vicoli che all’improvviso si aprivano al paesaggio, e se nella bella Scilla le stradine terminavano sul mare, a San Giorgio i vicoli permettevano ampie vedute sui boschi e sull’immenso Mar Mediterraneo.

Il rumore di un pallone aveva richiamato la mia attenzione, arrivava dal lato destro della Chiesa Matrice nella quale erano custodite due statue lignee di scuola napoletana raffiguranti i patroni del borgo, San Giorgio e San Giacomo, erano due ragazzini che giocavano a pallone.


Una vecchia saracinesca era la loro porta, mentre un muretto e una scalinata delimitavano l’aria di gioco.

Osservavo quei ragazzini cadendo in una dolce nostalgia, quando anche io giocavo per strada e non avevo bisogno di un telefonino o di un centro commerciale per essere felice.

Girovagavo tra le vie del paese, visitando antiche chiese, fermandomi tra le diverse terrazze per disegnare e percorrendo stretti vicoli come il passetto del re, che con soli 40 cm di larghezza era il vicolo più stretto d’Italia.

Alla base di una ripida scalinata, avevo incontrato un artigiano, se ne stava immerso nella silenzio del pomeriggio intento a fabbricare una cesta.

Intrecciava doghe di castagno mentre mi dava diverse informazioni sulla lavorazione del legno filato a caldo e mi consigliava d’arrampicarmi fino al castello prima del tramonto.


Segui il suo consiglio e lo salutai dirigendomi cosi verso la parte alta del borgo dove si trovava il castello, che raggiunsi durante il tramonto, quando un sole dai colori arancio, posandosi sul Tirreno,disegnava la sagoma scura dello Stromboli, il vulcano siciliano che adesso era ben visibile davanti ai miei occhi.

Feci un respiro profondo,emozionandomi davanti alle bellezze di San Giorgio, luogo speciale, dove il tempo aveva scelto di vivere il proprio tempo.