giovedì 15 novembre 2012

Praga e la Repubblica Ceca

Sto vivendo questo soggiorno in Repubblica Ceca, con l’entusiasmo di un bambino. 
L’autunno e l’inverno, rendono i paesaggi della Moldava ancora più gotici di  quanto non lo siano in realtà.
A Praga nevica spesso, ed è una meraviglia, quando gli stessi luoghi si coprono di bianco. 
Quando la temperatura scende sotto i meno venti i turisti sono rari, ed è possibile vivere in solitudine la bellezza di questi luoghi. 
Ogni mattina per andare al lavoro, attraverso Malà Strana, la città piccola, ed è difficile non farsi catturare dal fascino di questo  quartiere. 
Il tram scivola via, sotto arcate in pietra, Chiese gotiche e barocche, mentre  strane sculture, fanno da  guardiane  a colline e vigneti che si gettano a stapiombo, sulla città fatta di guglie e campanili.

Vivendo  questi luoghi, non è difficile capire il perchè, Praga, abbia ispirato pittori, musicisti e poeti.

Karlův Most

Praga, la città dalle mille guglie 

Karlův Most

Chiesa Santa Maria di Tyn 




domenica 12 agosto 2012

Barcellona - dall’altro lato dell’orizzonte

Osservavo con apprensione la torre umana che lentamente stava crescendo davanti ai miei occhi.

Era composta da persone di tutte le età, vestite allo stesso modo: una maglia rossa, un pantalone bianco e una fascia nera attorno alla vita.
 
La base era composta da decine di uomini messi in cerchio, con la schiena leggermente ricurva.

Reggevano il peso d'altrettante persone che s'aggrappavano su di loro appigliandosi ai vestiti, arrampicandosi sulle loro spalle e formando a loro volta un'altro cerchio umano.
Era mezzogiorno di una domenica d'agosto a Barcellona.Mi trovavo nel quartiere di Gràcia, uno dei luoghi più tradizionali della città.



La piazza era gremita di gente che come me, tratteneva il respiro.

L'atmosfera mi ricordava quella che si creava in Calabria durante le feste padronali, quando riti sacri e profani, tenevano le genti col fiato sospeso, come adesso, dove stavamo tutti ad osservare il terzo gruppo di persone che s'aggrappavano le une alle altre per comporre il terzo anello della torre.

Alberi di mandarini circondavano il perimetro della piazza, che si trovava accanto alle opere di Gaudì.

Opere uniche, create dal genio dell'architetto alla fine del 1800, in un momento di riscoperta dei valori nazionali, che ispiravano gli artisti in tutta Europa.
E mentre in Finlandia, gli architetti guardavano alle grandi foreste per recuperare il legno per costruire le proprie architetture, in Spagna Antonì Gaudì pescava nel Mediterraneo e nel passato islamico della nazione, per ritrovare un'identità iberica.

Era stata così concepita la Sagrada familia, tempio espiatorio di fine ottocento ancora incompiuto, che avevo visitato per la prima volta, qualche giorno prima.

Uscendo dalla metropolitana, non mi ero accorto che la basilica si trovava alle mie spalle.

Voltandomi, mi ero ritrovato faccia a faccia con quella che in quel momento, mi era sembrata una Cattedrale uscita da un racconto fiabesco... era maestosa, dalle forme incerte, all'apparenza fragile, sembrava fatta d'argilla.


Era un'opera unica, il capolavoro di Gaudi, che ritrovava le linee slanciate del gotico ma che poi le oltrepassava, con uno stile tutto nuovo, simbolico, mai visto prima.

Cattedrale che si trovava in una città che non aveva paura d'innovare, ma che era entusiasta del proprio dialetto e delle proprie tradizioni... come entusiasti erano i Castellers che continuavano ad aggrapparsi sulle spalle di uomini e donne, formando il quarto cerchio della torre umana.

Il quartiere dove mi trovavo era situato a nord rispetto al quartiere gotico, uno dei più affascinanti della città, dove piazze, vicoli ed archi si susseguivano, intervallati da antiche Chiese come Santa Maria del Mar, costruita nel 1300 e resa celebre dal romanzo di Idelfonso Falcones, che narrava della Barcellona medievale, città mediterranea e in continua espansione.

Nelle lunghe passeggiate che facevo, mi piaceva perdermi, ritrovandomi a percorrere vicoli stretti, isolati, che profumavano di mare e che finivano all'improvviso su grandi viali come la rambla, dove un fiume di turisti annullava in un attimo l'intimità vissuta qualche secondo prima.
Era sorprendente la sensazione che provavo vivendo la città.
Mi sentivo a mio agio, pur essendo dall'altro lato di quell'orizzonte che scrutavo da bambino, che m'incuriosiva e che immaginavo irraggiungibile.
Forse a farmi sentire a mio agio era il mare, lo stesso mare nel quale ero cresciuto, e che allo stesso modo bagnava tanti altri paesi: il Mediterraneo, nel quale avevano navigato diversi popoli, caratterizzandosi e contaminandosi.

Mi capitava di stare seduto sulla spiaggia della barceloneta, tra grattacieli e sculture contemporanee e riflettere su similitudini e differenze tra i diversi popoli mediterranei ed arrivavo sempre alla conclusione che in altri posti, mancava l'eclettismo catalano, dove il vetro e l'acciaio dei grandi grattacieli, conviveva con il dialetto, con le tradizioni e con la torre umana dei castellers, che in questo momento era crollata davanti ai miei occhi!

In un attimo la torre si era sbilanciata e tutta quella gente era caduta per terra.

Ma bastò poco per rivedere i castellers rialzarsi per ricostruire la stessa torre, che stavolta portarono a termine, quando due bambine arrampicandosi a quindici metri d'altezza, salutarono la piazza di Barcellona che applaudiva a festa.

mercoledì 4 luglio 2012

Arriva à littorina!

U trenu a Carvuni, così chiamavano i nonni "la littorina".
Arrivava col suo fischio inconfondibile, attraversando boschi d'ulivi secolari.
Era il 1921.
Novantadue anni fa, le genti delle campagne, correvano a guardare quel trenino che partiva da Gioia Tauro e passava per Rizziconi, Cannavà, Amato, San Martino, Taurianova,Cittanova, Polistena, fino ad arrivare a Cinquefrondi.

carnet de voyage, francesco fontana
Una littorina ferma alla stazione di Cinquefrondi
Quasi li immagino i miei conterranei, vivendo quel momento.
L'entusiasmo delle genti dei campi, catturato e raccontato, vivido nei ricordi di quel treno tirato a fatica da una locomotiva a carbone. Lo stesso trenino che hanno vissuto migliaia di studenti, spostandosi tra i vari paesi. Quei paesi che senza rendersene conto, diventavano l'uno essenziale per l'altro.
Ognuno coi propri bisogni, ognuno con le proprie caratteristiche.
Centralità, all'interno di un sistema, maggiore.
Tu dove andrai a scuola? Io a Taurianova, al geometra! Il classico è a Cittanova. Farò il magistrale a Polistena. Ma il linguistico è a Gioia?
Già dalla fine delle scuole medie, ci si confrontava con quello che sarebbe stato "il nostro Arcipelago", la nostra Piana di Gioia Tauro.
Già da allora, la littorina ci avrebbe collegato, ci avrebbe traghettato da una parte all'altra, tagliando insieme a noi, col suo fischio inconfondibile, boschi d'ulivi e colorati mandarini.
E nel 2009 quando decisi di usare la littorina, mi resi conto del strano destino al quale andava incontro.
Il lento e poco comodo ritrmo del viaggio, fino alla stazione F.S. di Gioia Tauro, era spezzato dalle fermate nelle cadenti stazioni.
Agavi e canne palustri, facevano da sfondo ai pochi immigrati, che si spostavano da un campo all'altro, ed io ero il vero straniero, l'unico ad emigrare con la valigia verso la stazione dei treni di Gioia.
Uno strano abbandono quello estivo, la littorina sedotta dai mesi scolastici, veniva adesso abbandonata. Diverse volte mi chiedevo perchè. Perchè quella littorina non traghettava le genti al "Porto degli Ulivi" di Rizziconi? Mi chiedevo perchè quella littorina, scivolava via dall'ospedale di Polistena, punto di riferimento, anche se discutibile dell'arcipelago del Tauro!
Mi chiedevo perchè la littorina ignorava il polo commerciale di Gioia, attrattore nella piana, e causa adesso di congestione stradale.

sketch, carnet de voyage
Littorine ferme a Taurianova.
Era come vivere due dimensioni diverse. L'estate arrivava e la littorina viveva la sua nuova dimensione!
Da un lato le macchine della Piana, la benzina, l'inquinamento, dall' altro io e i lavoratori dei campi, intervallati da masse di turisti tedeschi, che invadevano la littorina in alcuni giorni della settimana.
Tornavo da Reggio, dalle revisioni del laboratorio di sintesi finale, ed a Gioia Tauro mi mescolavo a questa massa di turisti. Aspettavamo il trenino insieme, che portava me ad Amato e loro a spasso tra i boschi d'ulivi, tra foglie argentee che si perdevano nell'orizzonte mediterraneo e colorati aranceti che immortalavano con le loro macchine fotografiche. Era incredibile! Quei tedeschi, stavano fotografando la campagna di papà!
Io scendevo prima, ed era curioso dover chiedere permesso in inglese, facendomi spazio in mezzo a quei tedeschi esaltati!
Loro continuavano verso il castello di San Giorgio Morgeto, io tornavo all'altro livello, quello delle campagne frazionate,quello dei pochi consorzi e degli uliveti troppo alti per regalare un'olio di qualità.